come tu mi vuoi

è in voga l’abitudine di ricorrere al giudizio al posto di dare una opinione, definire anziché descrivere. Potrebbe essere una reazione inconsapevole ad una trappola identitaria in cui capita di rimanere incastrati

il giudizio degli altri, in particolare di quelli con cui si spera di avere qualcosa in comune, è indubbiamente un rafforzativo di identità.

BRAVO, si dice ad un bambino che ha fatto ciò che ci aspettavamo da lui, ed egli si sente soddisfatto, giustamente più sicuro. Più avanti si impara che BRAVO spesso significa “su questa cosa sono d’accordo” e che è possibile “non essere d’accordo su una cosa ma esserlo su molte altre” e quindi più che un giudizio assoluto è un parere

può, però, verificarsi il caso in cui deludere gli altri sia un po’ come deludere noi stessi, un modo di essere (o sentirsi) meno all’altezza.

naturalmente l’opinione altrui su di noi segue delle evoluzioni indipendenti e autonome dal nostro percorso, e spesso non è specchio fedele del nostro pensiero.

anche in questo caso, una maggiore dimestichezza con il confronto, la mediazione ed al limite il conflitto, aiuta le persone ad essere più sinceramente come sono e non sentirsi in dovere di apparire come le si vuole.

anche in questo caso l’uso di punti di riferimento arbitrari e un po’ fittizi (pratica del tutto comprensibile nel grande mare delle relazioni) può riservare delle brutte sorprese e se il giudizio degli altri ci tiene sulla corda potremmo decidere di “ricambiarli con la stessa premura” complicando così ulteriormente il messaggio.

tommaso, 11 maggio 2010

 

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