tra pubblico e privato

Il senso di alcune parole

Bisogna operare con le parole come il maniscalco fa con i suoi attrezzi, controllare che il martello possa pestare duro e l’incudine non per questo debba rischiare di rompersi. La manutenzione della parola ci aiuta a sperare che la comunicazione vada a buon fine, cosa che ha mille ragioni per avvenire e mille altre per non farlo.

Privato

Si dice di un oggetto acquistato che esso è “privato”, così come privati sono dei Capitali, magari costruiti con la rapina o lo sfruttamento, ma che una “legge” comunemente accettata riconosce come proprietà di qualcuno.

La possibilità di privatizzare i mezzi della produzione materiale caratterizza l’era del Capitalismo: la meccanica che trasforma le cose prende vita ed è da subito “privata”, come “privato” è il lavoro venduto da chi non possiede la “macchina”-“mezzo” della produzione. La collettività ne è coinvolta, in tutte le sue componenti. È una rivoluzione sociale ed economica: all’autorità del Potere Nobiliare subentra l’autorità del Denaro. In questo caso, però, si dice, si è tutti uguali di fronte alla “proprietà”. La “legge” cresce con questa progressiva privatizzazione del mondo, gli dà una regola e una giustificazione (fa quel che una legge può e deve fare: la legittima). Le collettività vengono guidate a dotarsi di istituti dedicati alla protezione della proprietà. Giocando sull’ambiguità del termine si dirà che proteggere il “tavolo”, bene semplice dei molti, equivale a proteggere il bene “impresa” dei pochi. E dall’analogia tra lavoro, tavoli e imprese prende vita l’era moderna.

Pubblico

Complementari al binomio forzato costituito da lavoro e capitale, stanno i beni “pubblici”. Sono quelli che generalmente non si acquistano e non si vendono, che svolgono funzioni di comune utilità o che sono sovrabbondanti o di scarso interesse. Aria, acqua, il mare aperto, le terre abbandonate, attività caritatevoli e volontarie sono generalmente considerati beni pubblici; ma anche il mulino della piccola comunità di agricoltori, il forno del villaggio, o la rete informatica distribuita “internet” che nasce senza risorse e sopravvive a lungo solo grazie alle infrastrutture di anonimi utenti. Nel normare la “privatezza” la legge (civile e penale) norma anche la “pubblicità”, ossia ciò che non è “privato”, nascono cosi’ “istituzioni pubbliche” che governano la cosa “pubblica” e in qualche modo la gestiscono, esercitano su di essa l’autorità, “la possiedono” (per quanto poco si possa possedere una cosa “pubblica”). Poiché l’”istituzione pubblica” nasce con un fine universale e collettivo poco importa che arrivi a possedere delle cose (benché quello di poter essere posseduti sia un requisito fondamentale per la privatizzazione).

Il termine “pubblico”, nel corso del tempo, tende progressivamente ad identificarsi con l’”istituzione pubblica” che la legge ha costruito per tutelarlo e per tutelare, in modo complementare, il “privato” e i soggetti possessori, di tavoli, imprese e forza lavoro, pur essendo in realtà ed in origine tutt’altra cosa. In questo caso la materia e i rapporti degli uomini con essa nascono prima dell’istituzione che le regolano, ma è la regola che tende a plasmarli a sua immagine.

Può accadere, ed è accaduto, che avvenga un cambiamento (vale il detto per cui ogni pagina scritta non è che la premessa di una pagina nuova), ossia che l’”istituzione pubblica” rifiuti le caratteristiche di universalità e collettività da cui sembrerebbe discendere trasformandosi, per scelta dei suoi rappresentanti, in mero regolatore degli equilibri del mercato e della concorrenza. Questa trasformazione fa sì che il bene amministrato dell’”istituzione pubblica” non sia più considerato necessariamente “pubblico” ossia complementare al privato ossia non possedibile, ma che anzi sia tanto “posseduto” da essere, talvolta, affidato a dei “privati”, che ne fanno uso “privato” pur restando, il bene, proprietà dell’”istituzione pubblica” (si ha qui il caso di un bene che nasce libero da proprietari e si trova in breve tempo ad averne due contemporaneamente, come Arlecchino).

Detto così sembra uno scioglilingua ma …

  • un parco cittadino recintato e chiuso può considerarsi un bene pubblico?
  • un ospedale che tutela gli interessi delle industrie farmaceutiche e delle strutture di potere interne è un bene pubblico?
  • e l’acqua venduta a caro prezzo?
  • e il gestore dei trasporti che genera, con gli stessi, un utile per i suoi azionisti?
  • e una scuola che propaganda i tre corni della terna: potere, sottomissione, superstizione attraverso una disciplina gerarchica interna, la meritocrazia e il propinare certezze come se fossero verità è un bene pubblico?

L’equivoco delle parole trova, come si è detto, buone giustificazioni nella storia ma prima di farsi male il maniscalco deve aggiustare i suoi strumenti.

E’ quindi necessario riconoscere il corretto statuto di termini quale “statale” “comunale” “pubblico” “privato” “universale” “accessibile” “occulto”.

Inoltre: se tutto è di proprietà di qualcuno,

di chi è la proprietà dei rifiuti?

tommaso, 15 dicembre 2010


Pubblicato

in

da