I cinque poteri (Italia 2011)

Le teorie dello stato moderno (Montesquieu) insistono sulla separazione dei tre poteri: legislativo, esecutivo, giudiziario.

Nel corso del XX secolo è stata indicata l’importanza del “Quarto Potere”, ovvero il potere dei (sui) mezzi di comunicazione, in particolare quelli centralizzati di tipo “broadcast” come giornali, radio, televisione, nell’orientare le scelte politiche, nel determinare i temi in discussione, nel vincolare argomenti e argomentazioni del dibattito politico.

Nello stesso periodo, ma anche da prima, è stata indicata l’importanza di un altro potere: quello finanziario, ovvero economico, ovvero di controllo dei (sui) mezzi di produzione, commercio, servizi. Negli stati di impostazione liberale ci si è posto il problema e si è tentato di affrontarlo attraverso legislazioni antimonopolistiche.

Negli ultimi 20 anni in Italia è stato evidente, o almeno apparente, lo scontro tra il potere esecutivo e il potere giudiziario.
Si sono verificate alcune condizioni che hanno determinato lo scenario di questo scontro.

Una condizione è stato lo sbilanciamento della distribuzione del potere finanziario ed economico verso la concentrazione, ormai definitivo alla fine degli anni 1980 in tutti i settori “pesanti” dell’economia, con forte condizionamento del mercato anche di aziende piccole e medie.

Un’altra condizione è stata l’istituzione improvvisa di un’enorme concentrazione del “Quarto potere” attraverso una prima fase di “liberalizzazione” delle frequenze radiofoniche e televisive, che ha portato per le seconde a un processo di “accumulazione originaria” (meno per la radio, grazie ai ridotti mezzi finanziari richiesti) e di concentrazione di fatto, poi legalizzata e istituzionalizzata attraverso la legge Mammi’, grazie alla quale l’azienda fininvest/mediaset si e’ fatta stato.

Una terza condizione è stata la cancellazione dell’indipendenza del potere legislativo e la sua completa sottomissione al potere esecutivo. Questa è stata realizzata nella prima metà degli anni 1990 attraverso il cosiddetto “movimento referendario”, che ha imposto in tutti i tipi di elezione sistemi elettorali maggioritari basati sul motto “chi vince prende tutto” eliminando ovunque i sistemi proporzionali, caratterizzati dal criterio “una testa, un voto”.

Essenziale in tutto questo è capire che la concentrazione di un potere non si ha soltanto quando tutte le leve sono nelle mani di un solo individuo: si ha concentrazione quando a decidere sono in pochi, non importa se in collaborazione o competizione tra loro.
Il risultato di tutto questo è che, ora, almeno quattro dei cinque poteri sono concentrati davvero nelle mani di un solo individuo. Con alcune eccezioni, si vedrà in futuro quanto importanti.
Il capo del governo controlla l’esecutivo, che controlla il parlamento (potere legislativo).
Il potere giudiziario, oppure solo una “minoranza politicizzata” (sic) della magistratura tenta di incriminare il capo del governo. E’ da notare che se si trattasse in effetti di una minoranza politicizzata, questo significherebbe solo che anche il potere giudiziario sarebbe quasi del tutto asservito al capo del governo.
Il capo del governo controlla tutta la televisione italiana, con l’eccezione dei canali “sky/fox” afferenti a un sistema di reti del tutto simile a quello del capo del governo, ma su scala internazionale [e, comunque, fortemente impegnato da sempre negli USA in una continua campagna di denigrazione dei politici non solo radical o liberal, ma anche delle destre moderate, a cominciare dal presidente e di promozione di slogan, motti e luoghi comuni di estrema destra (ovvero a favore della concentrazione di poteri)].

Il capo del governo controlla anche i giornali, con l’eccezione costituita dal gruppo espresso-repubblica e fiancheggiatori, ovvero un soggetto concorrente di potere concentrato.

Infine (infine?) il capo del governo controlla, oltre a televisioni e giornali (che hanno anche importanza economica), importanti settori dell’economia e della finanza attive nel paese, a partire dai lucrosi appalti del settore pubblico e, pare, anche qualche elemento chiave del settore energetico. Non controlla da solo tutta l’economia italiana, ma sono in pochi, e in posizione subalterna, i gruppi che controllano gli altri settori.

Se la persona del tiranno venisse colpita da un fulmine, cosa che capita ai tiranni, tutta questa concentrazione di poteri non svanirebbe come neve al sole. Certo si frammenterebbe, e si scatenerebbero i suoi vassalli, ovvero i suoi avversari. Tutta gente che ragiona allo stesso modo: concentrazione, più concentrazione, ancora più concentrazione.

Che ne è allora della democrazia italiana?
Ogni articolo della Costituzione viene tradito ogni giorno, a partire da quelli mai applicati (le limitazioni sociali all’iniziativa privata, ad esempio, oppure la promozione della cultura, della scienza e della tecnica), passando da quelli che sono stati traditi spudoratamente una volta per tutte (il ripudio della guerra), ben prima dell’instaurazione de facto della tirannia.

Se ci sono elementi di vitalità democratica nella società italiana (o nelle società italiane) questi si possono trovare laddove si contrastano le concentrazioni di potere in quanto tali, non certo dove si tenta di contrastare un “potere concentrato” per promuoverne un altro.

Francesco Uboldi, febbraio 2011


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