diamogli un bacino

Si dice che il giorno 27 febbraio 2015, quarantaquattro parlamentari della maggioranza di governo (sic!) abbiano scritto al (loro) premier un appello, prontamente pubblicato il giorno seguente dal quotidiano cattolico l’Avvenire (sic!), che inizia così:

“Caro presidente, il Piano per la «buona scuola» rappresenta il più importante tentativo di riforma dall’epoca della riforma gentiliana”.

Sarebbe già questa materia sufficiente per un ragionamento sull’enorme quantità di energie, tempo e fatica spese da chi la scuola, negli anni che ci precedono, l’ha fatta (e subìta), a partire dal 1923 ad oggi. Fatiche che hanno contribuito a costruire un modello d’insegnamento che non ha eguali, ma che è sempre risultato scomodo o poco utile agli interessi di chi la scuola l’ha “decisa”, “diretta” e quindi “derubata”, dal dopoguerra ad oggi, attraversando tutte le bandiere dell’arco parlamentare.

L'Avvenire OnLine 28/2/2015

Dice anche che questa lettera citi don Lorenzo Milani, Maria Montessori e Antonio Gramsci, che pagarono in prima persona il prezzo della loro coerenza e che anche solo per questo mal digerirebbero l’accostamento a questa ossequiosa petizione.

Forse varrebbe la pena di chiuderla qui, se non fosse, però, che in questa lettera sulla scuola, già dal secondo paragrafo, si introduce il metro del denaro. Quanto ci costa questa scuola, quanto ci costano questi ragazzi che crescono. Come se il prezzo della semina non fosse l’inevitabile spesa per avere un raccolto, come se – costi quel che costi – scuola, salute, casa, non dovessero far parte di quel contratto sociale che lega donne e uomini in una collettività anziché divenire oggetto di mercificazione, speculazione e conteggio.

E i quarantaquattro vanno oltre, “gentilianamente”, trascendono la concretezza della materia viva e puntano agli ideali del pluralismo e della libertà (di cui, il parlamento di cui fanno parte, per altro, è campione).

Bene, dicono i gatti, quanto vi può essere di più libero e plurale che lasciar scegliere a ciascuno la scuola che preferisce? Perché mai , insistono i nostri, infliggere a tutti una scuola ‘comune’ quando si può ambire ad una scuola fatta di differenze? A ciascuno il suo, pari diritti, pari benefici. Seguono, inevitabili, i riferimenti ad un modello internazionale, ah l’Europa…

È vero, in Francia, “tra i più laici paesi d’Europa”, lo Stato paga il personale docente delle scuole cattoliche, ebraiche, mussulmane, benché, però – si badi – contemporaneamente sia fatto divieto dell’insegnamento confessionale tanto nelle scuole statali quanto in quelle ‘paritarie’. [Che in italia ci si debba esonerare e non iscrivere all’insegnamento dell’educazione cattolica la dice lunga sulle pastoie che ancora legano la nostra istituzione scolastica].

È vero, in Germania e in Inghilterra sono ‘tollerate’, e in (buona) parte finanziate le scuole “libertarie”, il più valevole e coraggioso esempio di istruzione che si conosca. Però, anche questi casi eccellenti, non sono che delle scuole di élite, scelte dalle famiglie per i loro figli non forse sempre per censo ma per credo, ideologia, o quant’altro.

L’esperienza forte della scuola italiana, quella della vera crescita “pluralista e liberale” è una vicenda completamente diversa, che riguarda, prima di tutto, il confronto e il dialogo tra le differenze, il riconoscimento dei reciproci diritti e dei doveri collettivi. Ci siamo a fatica liberati dalle scuole di genere, delle classi differenziali, delle scuole speciali. Maria Montessori ci ha insegnato come fare scuola con chi era considerato ‘malato’ e come lo stesso sistema potesse venire utile per coloro che erano stati classificati come ‘sani’. Nel 1975 (con buona pace per Gentile e Renzi) sull’onda delle esperienze di base il ministro, democristiano, Franca Falcucci sancisce “l’integrazione degli alunni portatori di handicap” nelle scuole dell’obbligo. La più grande rivoluzione che si potesse fare nella scuola, ancora oggi non abbastanza digerita. Maestre, maestri, insegnanti e genitori delle zone più disparate di questo ricchissimo paese, l’Italia, hanno prodotto esperienza e scienza di inclusione avendo a che fare con la materia eterogenea del sociale che gli stava attorno. Spesso ciò che hanno ricevuto in cambio è stato uno sputo in un occhio. Qualcuno (come il maestro Manzi) è stato per questo persino allontanato dall’insegnamento. Però hanno vinto, perché noi oggi sappiamo che è a partire da lì che dobbiamo porre le nostre domande, il passato è archiviato.

Ed ora i gatti invocano la ‘libertà’, affinché ciascuno possa collocarsi nel suo loculo educativo, dove sono tutti d’accordo, dove tutti sanno da prima cosa succede, dove si puo’ insegnare il creazionismo o il darwinismo, in inglese o in swahili. Ciascuno avrà il suo posto, i ragazzi impararanno delle certezze e dimenticheranno più facilmente i dubbi. E (scommettiamo) chi non avrà la voglia, la fantasia, le risorse per scegliere si dovrà accontenterà di una scuola ancora più bistrattata, la nostra scuola. [Faranno forse una scheda invalsi in inglese o in swahili per restare allineati con gli uffici antropometrici della porta accanto, che pure ci sono]

Sbagliate, gatti, non conoscete il mondo. Quando vi distraete facciamo le scuole più belle dell’universo, proprio lì, dove nessuno pensa sia possibile, proprio quando sembrerebbe impensabile. Sono luoghi dove i ragazzi sono felici e imparano volentieri, e sono ragazzi qualunque che non hanno scelto nulla se non di affrontare il loro esistere così come sono.

In chiusura per voi solo un piccolo consiglio, per le scuole paritarie, se proprio dovete, insieme ai fondi chiedete che venga dato un bacino d’utenza, è lì che c’è la vera ricchezza.

tommaso 3 marzo 2015

linkografia essenzialissima:

La lettera

Vittorio de Seta, Diario di un maestro (estratto)
Vittorio de Seta, Quando la scuola cambia (scheda)

Scuole libertarie

En rachâchant

44 gatti dello zecchino d’Oro

p.s.
tra i nomi celebri la lettera non cita quello di Teresa Mattei, che fu tra le poche donne nell’assemblea costituente, partigiana, pedagogista di vaglia che, con lo spirito spiccio dei tempi, fece del suo per osteggiare il lavoro del Ministro Gentile. Peccato.