per una Scuola migliore (o della #buonascuola)

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affinché la selezione sia fatta in modo equo tutti svolgeranno la stessa prova: e ora salite su quell’albero

Qualcosa sulla Buona Scuola va detta, è difficile stare zitti.

Ci provo, per punti, stringato.

Per risolvere un problema bisogna prima capire (e dichiarare) qual’è e poi cercare la migliore soluzione possibile. E la Scuola in Italia oggi ha un problema.

il problema

A scuola ci vanno dei ragazzi che non hanno una ipotesi di futuro, vittime (innocenti) di un mondo che vive dell’oggi, impaziente, nervoso. Vengono biasimati perché non si concentrano, non si appassionano ma non si vede che non fanno che ripetere ciò che gli sta attorno. Perché il primo gradino della conoscenza sta nella ripetizione. [in più hanno al collo il fiato di una generazione sbandata, la prima consapevole di consegnare ai propri figli un domani peggiore del suo presente].

A scuola ci sono degli/le insegnanti che hanno perso autorevolezza sociale, trattati come inutili pelandroni. Sono stati saccheggiati di tutto, dal salario alle relazioni professionali alla formazione financo allo stipendio estivo per quelle centinaia di migliaia di precari che lo Stato tratta come dei lavoratori stagionali. Messi a tirare una carretta che non si sa neanche più bene dove vada l’hanno fatto il più delle volte responsabilmente. Talvolta qualcuno si è lasciato andare, e non ha trovato nessuno che lo raccogliesse, che gli desse una mano. È rimasto lì, come un pugile suonato, e trascina oramai solo se stesso.

A Scuola c’è un apparato amministrativo che spesso di Scuola non sa nulla, che non è scelto da chi la Scuola la vive, che agita dei coltelli nati spuntati. In nome di un’autonomia che è solo responsabilità, i Dirigenti Scolastici, oggi più funzionari amministrativi che pedagoghi, devono fare da cingha di trasmissione dei provvedimenti ministeriali su delle collettività di adulti trattate come se fossero incapaci di tutto (e quindi ancora e nuovamente delegittimate nel loro ruolo).

Una autonomia senza portafoglio li costringe a fare del marketing con i soldi della famiglie e mette quindi le famiglie nel diritto di intervenire anche laddove non dovrebbero, nella didattica. Così bande di genitori mediamente incompetenti ed ansiosi gestiscono la crescita e la separazione dai loro ragazzi giocando sia a casa che a scuola. [perfetto no?] Il tutto mentre gli uffici scolastici fanno forte richiamo al fatto che la scuola non deve chiedere soldi alle famiglie. Ciascuno dice le sue sciocchezze e parla dei suoi sogni. [Ma quello del dirigente scolastico così diventa un mestiere usurante. Il tasso di nevrosi nella categoria infatti è elevatissimo.]

A scuola manca il tempo. Se una insegnante chiede, al genitore preoccupato del profitto del proprio ragazzo, “e come va nelle altre materie?” significa che di quel ragazzo lì e di quella scuola l’insegnante non sa nulla, ma non perché non vuole, perché non può.

Come puo’ funzionare così?

Come possono i ragazzi imparare l’arte difficile del crescere, della conoscenza, dello stare insieme responsabilmente se non hanno di fronte una collettività di adulti con cui confrontarsi?

la soluzione

Se questo è il problema (e molto in sintesi per me è così), cosa c’entrano “i poteri del preside”? cosa c’entra aprire ai finanziamenti dei privati [e legare la scuola ai desiderata altrui, e permettere, in potenza, che vi siano scuole “ricche” e scuole “povere”]? cosa c’entra valutare e premiare sulla base di una serie di quiz? Dove, la Buona Scuola, interviene nelle piaghe della Scuola Malata?

Davvero si pensa di intervenire sull’”autorevolezza sociale” degli insegnanti con 500 euro l’anno e un premio per i più bravi? [ma più bravi in cosa poi?]

La Buona Scuola è solo una Pessima Risposta ad un Vero Problema.

La Scuola oggi ha bisogno di riavere indietro innanzitutto quello che le è stato tolto, e di averne di più.

Risorse economiche e umane. Non solo aule imbiancate e non cadenti ma anche tempo per le persone che ci stanno, che possano parlarsi, confrontarsi, riflettere, elaborare pratiche e strategie. Insieme.

Nella scuola primaria di qualche anno fa, la grande forza delle compresenze era quella permettere alle maestre e ai maestri di lavorare insieme almeno per qualche ora alla settimana, guardarsi insegnare, specchiarsi negli occhi dell’altro e capire che forse non proprio tutti i propri gesti erano quelli giusti. Altro che domande a risposta chiusa, questo è un grado di valutazione che puo’ fare accapponare la pelle. Bene, le compresenze sono state tolte.

Nella secondaria non ne parliamo, ci sono delle materie con due ore a settimana, nove classi, nove consigli di classe, duecento studenti. Ma come si puo’ prendere sul serio un modo di lavorare come questo?

Ci hanno preso per il culo facendoci credere che il problema era la mancanza del capo, dell’autorità, nascondendo così la stanchezza e la povertà di tutti. Questo è fascismo. È un sistema che non puo’ che produrre presidi autoritari al comando di insegnanti i quali, per necessità di cose, diventeranno a loro volta autoritari. Una pentola a pressione pronta ad esplodere. [salvo poi invocare le regole della democrazia quando esplode davvero]. Una organizzazione solipsistica educherà al solipsismo, grandi e piccoli. Trasformerà la Scuola sempre più in una Caserma.

una proposta antipatica

Perché non si dica che si difende a spada tratta una categoria variegata e in alcuni casi indifendibile (benché innocente) penso che non sarebbe neanche male se si dotassero le scuole di tante comode aule per le/gli insegnanti, dove potessero correggere i compiti, parlare con i ragazzi, stare a scuola un po’ di più e meglio [queste sono le Scuole Aperte]. Se si vietassero le sei ore di lezione consecutive con due intervalli da dieci minuti e si aggiungessero dei pomeriggi o il sabato per distribuire meglio il carico agli studenti. Che non si pretendesse che dei ragazzi di 10-13 anni studino veloce e male per la seconda volta su tre la Storia dell’umanità ma gli si permettesse di approfindire due o tre momenti storici l’anno analizzandone le diverse letture, interpretazioni e sfaccettature. Che si mettesse in pratica quella multidisciplinarietà su cui si sono sprecate più parole che gocce d’acqua nell’atlantico ma che nella Scuola di oggi non ci riesce a stare. Che la si piantasse di medicalizzare il disagio e la diversità e si lavorasse realmente alla costruzione di anticorpi sociali all’intolleranza. Che si facesse una conferenza nazionale con insegnanti, studenti, pedagogisti, per capire quale è il significato sociale della scuola di oggi e non ci si fermasse alla sue funzioni in rapporto all’economia del mercato del lavoro. Che si studiasse la Legge di Iniziativa Popolare. Che si facessero parlare i ragazzi perché per imparare bisogna saper ascoltare e parlare ma per parlare bisogna anche che qualcuno ti ascolti. [e che si facesse, perché no, anche un po’ di teatro]

Insomma spazio per una vera grande riforma c’è, che però non è quella di cui si parla ora.

e piantiamola di prenderci in giro…

 

tommaso maggio 2015

una postilla sulla lavagna di Renzi, che è uscita mentre questo testo era in elaborazione

Mi è capitato altre volte di dire che la scuola è il luogo della verità, e che siccome la verità spesso ha molte facce, più che una risposta, la scuola è un modo di porre delle domande.

Ora chiedo, la lavagna di Renzi avrebbe contenuto la parola “continuità” [punto 5] se qualche insegnante precario incazzato non avesse fatto ricorso e la Corte Europea non avesse minacciato di sanzionare l’Italia per il regime contrattuale a cui ha sottoposto lui e una nutrita schiera di suoi colleghi? E se al governo sta veramente a cuore la “precarietà” [tanto da mettere al punto 1 della lavagna l’alternanza scuola-lavoro come medicina alla disoccupazione giovanile (sic!)]  come mai nella Buona Scuola di oggi si punta a regolarizzare tutti e soli i precari che sono interessati dalla sentenza della Corte Europea e che quindi darebbero luogo alla sanzione e si lasciano a mollo tutti gli altri?

Forse basterebbe recuperare un minimo piano di verità e ragionare sarebbe più facile.