El arte es una mentira que nos acerca a la verdad (P. Picasso)
Una menzogna è un’affermazione consapevolmente non vera.
Prima di parlare della menzogna bisognerebbe quindi saper dire cos’è la verità.
Nelle scienze la verità è il limite della nostra conoscenza, nella relazione è il limite delle nostre percezioni. È un modo di avvicinarci ad una realtà oggettiva o soggettiva con cui ci legano delle relazioni. Si tratta di un modo inevitabilmente impreciso ed incompleto (non fosse altro a misura della nostra imprecisione ed incompletezza) inevitabile ma al contempo indispensabile perché è l’unico che abbiamo.
Il fisico russo Vassili Arnol’d scrive, nell’introduzione al testo “Metodi Matematici della Meccanica classica”:
Osserviamo che questo principio non è un teorema, né un assioma, né una definizione ma una proposizione fisica, cioè una formulazione vaga che, in termini rigorosi, è sbagliata.
andando ancora più a fondo il matematico Kurt Gödel dimostra che non vi è sistema formale privo di proposizioni di cui non sappiamo dimostrare la veridicità
per ogni sistema formale di regole ed assiomi è possibile arrivare a proposizioni indecidibili, usando gli assiomi dello stesso sistema formale
e una proposizione indecidibile è una verità irraggiungibile, non proprio una menzogna ma quasi.
Partiamo quindi dal presupposto che espressioni notoriamente approssimative se non addirittura non veritiere occupano la gran parte della nostra esperienza quotidiana e costituiscono la quasi totalità delle nostre conoscenze. Il che, di per sé, non è un problema particolarmente sentito né si può dire sia fonte di singolari afflizioni.
A questa situazione, che non intacca una certa stabilità dell’esistenza, si aggiungono quelle non verità volontarie che possiamo più propriamente definire delle menzogne.
Verità e menzogna investono un determinato ambito e si sviluppano in un preciso contesto relazionale ossia sono intrinseche ad un momento comunicativo. La comunicazione avviene tra due o più ‘soggetti’ diversi, in cui ciascuno è il portato della sua storia, delle sue esperienze, è diretto verso una sua meta. La comunicazione avviene attraverso la rappresentazione di una parte di ‘mondo’, selezionata e mediata da una forma linguistica. Fatti, storie, ricordi, deduzioni, regole formali, dimostrazioni o postulati, verranno scelti in relazione a ciò che si vuole comunicare, a chi lo si vuole comunicare e a che effetto si desidera ottenere. La selezione della parte di verità che va a costituire un singolo atto comunicativo è già di per sé riduttiva. Nel raccontare un evento non è necessario dire perchè lo si racconta anche se il più delle volte è questo perché che si vuole trasmettere, mentre l’evento, quel determinato evento e non altri, è solamente uno strumento della comunicazione.
Nell’atto relazionale è breve il passo dalla riduzione volontaria del quadro di realtà all’introduzione di elementi di consapevole non verità . Si può omettere o trasfigurare allo scopo di imbrogliare, nuocere ma anche proteggere o sostenere. Quel che conta è la relazione tra le parti non tanto l’attinenza al vero (e quale vero poi?) della comunicazione che dà forma a questa relazione.
Ancora, dire una falsa verità implica il fatto di essere consapevole che esistono delle false percezioni del vero, che la nostra percezione della realtà è una stratificazione di elementi in costante mutamento e che solo l’interazione con questi è ciò che ci è dato sapere. La menzogna è il frutto della conoscenza dell’esistenza di un limite, è cosa da esseri evoluti. Nota la parzialità della ricostruzione dell’esperienza del reale, l’essere umano si autorizza a emulare questa imperfezione proponendo ad altri, come verità, una versione per lui non corrispondente dei fatti. Questo non sarebbe possibile se non fosse registrato nella nostra percezione più profondo il fatto che di non verità siamo circondati.
Nel “Saggio sulla lucidità” José Saramago dice
… qui abbiamo a che fare con esseri umani, e gli esseri umani sono universalmente riconosciuti per essere gli unici animali in grado di mentire, e mentre è vero che qualche volta mentono per paura, qualche volta per il proprio interesse, essi talvolta mentono perché realizzano, appena in tempo, che questo è l’unico modo possibile per difendere la verità
La consapevole menzogna è una fortissima forma di relazione. “Dico a te” (perché mi interessa dirlo a te, non ad altri) “una cosa in cui non credo allo scopo di convincerti che il mondo è diverso da quello che sai”.
Se la comunicazione è di per sé fallace ed incerta, è la relazione nella sua precaria mutevolezza la cosa meno menzognera che abbiamo.
Il soggetto misura e dimostra la sua esistenza veridica (il suo essere un vero essere) nella misura in cui pratica la relazione. Verità e menzogna andrebbero cercati nella pratica della relazione non nella versione dei fatti, ma questa è una storia diversa.
Se il problema della verità è spesso un coltello senza lama nelle mani di fautori di false morali, il problema della relazione abbraccia e contiene verità e menzogna e costituisce la base dell’essere sociale.
Subentrano poi, a causa delle relazioni tra gli umani, delle necessità di controllo che si impongono con l’obbligo della determinazione di una verità comune. Nel conflitto, altrettanto costitutivo delle nostre vite che l’inesattezza delle nostre affermazioni, fa comodo poter stabilire come sono andate le cose, cosa sia indiscutibilmente successo. Nessuno pensa con questo di poter vincere le leggi della materia o della ragione ma solo di procurarsi una versione che sia inequivocabilmente considerata quella esatta, quindi comunque falsa ma per tutti allo stesso modo.
Ciò puo’ essere considerato come una sovra-menzogna, una falsità consapevole che non risponde ad una relazione tra pari ma esclusivamente ad una logica di supremazia.
Questa falsa verità, che si sostiene essere necessaria allo scopo di proteggere la collettività, in realtà nega la relazione, impone un colore sugli altri e minaccia alla base la trasformazione sociale, l’incessante motore della storia.
Se è stato per approssimare questo risultato che si è introdotto il controllo quasi generalizzato delle conversazioni telefoniche, la registrazione delle comunicazioni internet, l’installazione massiccia di videocamere di sicurezza; se è stato per un ulteriore affinamento l’aggiunta dell’impronta digitale sul documento di identità, l’introduzione della banca del DNA (con il prelievo obbligatorio per i fermati) e il riconoscimento facciale, l’importante è sempre e comunque quello di garantirsi un’utenza complice e connivente. Quindi la banca dati delle facce la alimentano gli internauti su FaceBook taggando i selfie propri e degli amici nel loro panopticon virtuale e i ragazzi vengono abituati, da subito, al telecontrollo, permettendo alle loro famiglie di vedere da casa sul registro elettronico voti // presenze // assenze // note e commenti, cosa che avviene con ecumenica gioia.
Le bugie talvolta nascondono una verità più grande, il tempo stringe, riprendiamoci il diritto alla menzogna prima che una più grande balla si prenda gioco di tutti noi.
ommot febbraio 2016