la rivoluzione che fu e quella che sarà

24 1 2017

COMPITI PER LE VACANZE DI NATALE CAPODANNO 2016-2017
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assemblea < > sindacato
lavoro < > attività
movimento < > ordine
autonomia < > rappresentanza
diritto < > diritto (sic!)
continuità < > rottura
miglioramento < > cambiamento

Svolgimento:

Per le vacanze ci han dato da fare una composizione libera con tema “il lavoro”.
Come si fa a fare una composizione libera a tema lo sanno solo loro.

Comunque l’argomento mi interessa e ho scritto due cose.

Siamo nel 2017, “l’anno della rivoluzione”, tutto sta a vedere se si parla della rivoluzione che fu o di quella che sarà.

Il lavoro è un’attività svolta da uomini, materiali (materie prime, macchinari…), animali (puo’ essere, lo è stato), idee (che sono spesso frutto di altro lavoro). Per mezzo del lavoro si ottengono delle cose materiali o immateriali. Lo scambio è regolato sempre dalla compravendita e, poiché il lavoro è una merce come le altre, c’è chi compra lavoro, oltre a materiali, idee, animali, e, commerciando i prodotti del lavoro, ricava un utile, un quantitativo extra di denaro. Si dice così che il lavoro produce valore.

Ossia il lavoro venduto arricchisce chi lo compra. Quest’ultimo lo chiamiamo il capitalista perché ha il capitale necessario a comperare il lavoro.

Animali, macchine, idee da sole non producono valore. Al più sono parte del patrimonio del capitalista ma essendo possedute e non scambiate non possono produrre valore.

Come ciò avvenga è descritto bene da Marx ne “il Capitale” (1867!) e nessuno l’ha mai messo in discussione, nemmeno il capitalista che anzi ha in generale apprezzato compiaciuto la descrizione del suo mondo. (I problemi tra Marx e il Capitalista non mancano ma riguardano altre questioni)

Vi sono molti differenti lavori, ciascuno ha un suo scopo, che di volta in volta è diverso, e uno che rimane per tutti uguale: la produzione di valore per il capitalista. Il lavoro è un’attività con due scopi.

Si estrae ricchezza dal lavoro altrui per mezzo di quel che si chiama sfruttamento.

Se pensiamo che sia giusto che, oltre che ciò a cui è destinato, il lavoro produca anche un sovrappiù economico; se pensiamo cioè che sia giusto estrarre ricchezza dal lavoro altrui per mezzo dello sfruttamento significa che pensiamo che ciò che il lavoro produce di di sua natura non sia sufficiente a giustificarne lo sforzo, che si debba necessariamente cavar fuori qualcosa di più. Un utile per l’appunto. Ciò significa dare meno conto del dovuto al naturale prodotto dell’attività lavorativa, cosa che in un sistema in cui questa ha sempre due scopi è anche corretto. La necessità di produrre, oltre al frutto dell’attività, anche il valore del lavoro farà sì che sia fatta male la prima cosa quanto più saprà far bene la seconda. A salario di merda (alto tasso di sfruttamento) lavoro di merda.

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L’Unità Organo del Partito Comunista d’Italia, 1928

Possiamo pensare di fare un lavoro migliore?
Possiamo senz’altro sperare di trovare o procurare delle condizioni migliori individualmente, per migliorare la nostra vita, ma non possiamo pensare di trovare un lavoro che non serva a produrre valore. Nessuno investirà del capitale se non con lo scopo di ricavarne qualche cosa. Dal regime della compravendita non si esce da soli.

Oggi è così

La rivoluzione che fu si pose il problema di modificare lo scopo del lavoro, liberando l’attività dalla necessità di produrre del valore extra. Si propose di farlo in modo complessivo e generale, ossia nell’unico modo possibile: per tutti.

Il salto era grosso. Lo fece forse male, forse troppo in fretta, forse sbagliò subito o forse si perse per strada. D’altra parte nessuno aveva un manuale o delle istruzioni ed in più l’abitudine a trarre profitto dal lavoro è dura a passare. Certo non finì come doveva. Dalla storia possiamo imparare molte cose se non vogliamo trarre conclusioni troppo affrettate.

Fatto sta che quello del lavoro è stato il nòcciolo della rivoluzione che fu. Oggi dal punto di vista della produzione del valore poco è mutato eppure di questo non si parla più.

Per esempio
-il movimento del 99% si occupa di come è distribuita la ricchezza, non di come e perché è prodotta;

– quel che è stato quel pezzo di movimento antigovernativo per cui molti giovani sono scesi in piazza in Italia nell’ultimo anno si è occupato della politica, che nulla ha a che fare con la linea che discrimina chi profitta del lavoro altrui e chi lo (s)vende per campare; pensare di eliminare il regime della produzione di valore per via parlamentare è semplicemente un’idiozia (che infatti nessuno sostiene);

– le piazze di #occupy, le primavere, hanno posto sacrosanti problemi di etica, dei diritti e ancora di distribuzione delle ricchezze, ma non hanno neppure sfiorato l’idea di superare la linea che separa il valore dall’uso pur ponendo sul piatto l’esperienza del mutualismo che è una timida prefigurazione di quel che potrebbe avvenire;

– ecologia, ambientalismo, animalismo pongono dei sacrosanti problemi di “rispetto” della natura e dell’ecosistema ma non intaccano la produzione del valore. Infatti si possono generare profitti anche dall’ecologia.

– Anche Tout le monde déteste la police si occupa di altro. Pone delle sacrosante questioni che riguardano la libertà, la repressione, il controllo, lo Stato dell’infinita emergenza e della paura ma focalizza sulla breve distanza rischiando di cadere nella tifoseria, con una squadra che gioca a uomo e non a zona.

Nel tema (che libero non era) ho scritto questo, come fossi un fantasma del secolo scorso.
Non è piaciuto, i miei temi non piacciono mai.
O forse è piaciuto ma è parso creasse più guai che altro. E tutti cercano di sfuggire dai guai, anche questo è comprensibile.

Si fottano.

Oggi sappiamo poco della rivoluzione che fu
Chissà mai quale nòcciolo prefigura la rivoluzione che sarà…

youdontneed

A proposito di attività e lavori è necessaria una postilla importante che riguarda gli affetti.

Non è mai il caso, si sa, di trascurare gli affetti. Questi, oltre a scienza e conoscenza, qualcosa ci dicono, di come va il mondo. Perché affetti e sentimenti si ingarbugliano con scienza e conoscenza e non sempre ci vanno d’accordo.
Inoltre perché capita – a volte – che ci prendano un po’ troppo la mano, e questo bisogna saperlo.

Talvolta diventano passione, talvolta rischiano di tramutarsi in ossessione.

Già, quale amore non ambisce a mettersi in salvo al di sopra di qualsiasi discussione? Tramutarsi in un sentimento totale, dispensatore di speranza, fiducia, gioia quando non di baratri di incertezze e sofferenza? Che male c’è in questo? Nulla, naturalmente, e se anche vi fosse difficile sarebbe tenersi a bada. Però varrebbe tener fede al frusto precetto di non esagerare.

Capitò così che la teoria sul lavoro, quella che avrebbe cambiato il mondo, diventò a volte motivo di affetto, e per alcuni divenne una vera e propria ossessione. L’uomo, che ne era alla base e che avrebbe dovuto ricavarne i benefici, rimase un po’ in ombra e questo forse spiega, ma non giustifica, certi eccessi che ne seguirono.

Fu un errore, i partiti che avrebbero dovuto lottare per l’abolizione del lavoro e per la propria estinzione decisero invece di organizzarsi per restare, e diventarono altra cosa.

È storia vecchia.

Oggi, benché quasi nulla sia cambiato dal punto di vista della produzione del valore, tutti sono pronti a sbeffeggiare una fine così infausta. L’inciampo proletario fa arrossire gli uni e sorridere gli altri: impietosa consolazione di chi si pasce delle nefandezze del passato, per non volerne vedere,  con gli occhi, di peggiori.

Anche sugli affetti poco è cambiato. L’affetto per il lavoro fa ombra all’affetto per l’essere umano. Non è questo un lavoro che trasforma, o che si trasforma; è un lavoro che non ambisce tramutarsi in attività ma che si limita a riprodurre ricchezza e sofferenza, dominio e sfruttamento. Però l’affetto che genera è enorme, tale da condurre alla cecità chi lo prova.

Il lavoro è (divenuto) segno di emancipazione, di integrazione sociale, un valore in sé oltre che una necessità; oppure (più raro ma esiste) una cosa da rifiutare a priori, naturalmente a titolo individuale tanto prima o poi i piatti qualcuno li lava.

E così spesso si fa a gara per procurarsi un lavoretto, anche per poco, anche gratis.
Docilmente ci si presta a delle attività “formative” che in realtà non sono che generatori di profitto a basso costo (veri per esempio il caso dell’alternanza scuola lavoro).

Non importa, porterà fortuna, ci darà qualcosa da fare. Una magra consolazione ma pur sempre una consolazione.

Se per il Lavoratore non son rose e fiori, a ben vedere non lo sono neanche per il Capitalista. Immaginiamo che sempre più persone si dicano disposte a lavorare gratis, a chi pensa di vendere i frutti del suo lavoro il Capitalista? L’economia è una macchina che gira, in modo ineguale ma deve girare, se no il motore si scalda e rischia di ingripparsi. A quel punto qualcuno si fa male. Senza dubbio c’è del nervosismo anche nelle alte sfere.

Oggi sappiamo poco della rivoluzione che fu
E pressoché nulla della rivoluzione che sarà…

ommot gennaio duemiladiciassette