e guerra fu

Ci troviamo ad una stretta,
qualcosa muta,
lo si nota più per quel che non si vede che per quello che si vede.

I numeri si alternano sulle prima pagine dei giornali, contagi, malati, decessi, lasciano via via il posto ai soldi dell’Europa e ai vaccini. Il problema cede il passo alla soluzione.

Non importa che si sia capito bene cosa sta realmente succedendo.
L’importante è trovare un giusto ritmo di marcia.

Proviamo a ricominciare

Il 31/1/2020 non si sa se per caso, per fortuna o per stupefacente lungimiranza, il governo italiano ha dato il via ad una guerra che si ripromette d’essere lunga.

Da subito, l’abbiamo detto, suonano sordi quei numeri diffusi quotidianamente:

il totale dei contagi è una grandezza che dipende dalla quantità di misurazioni e che poco ci dice sull’incidenza e la gravità degli effetti del virus sars-cov2.

In un primo momento sembrava un questionare di lana caprina, le misure, condotte in un contesto di focolai molto gravi, restituiscono inevitabilmente soprattutto lo stato di patologie estreme.
Contagiato e fortemente sintomatico sono e divengono sinonimi.

A distanza di tempo, però, la situazione è mutata, l’incidenza di positivi asintomatici cresce ma nella potenza dei numeri non ce ne si fà troppo caso, quella che potrebbe essere una buona notizia diviene strumento di paura. Ossia benché vi sia una percentuale alta di persone che stanno bene pur essendo entrate in contatto con il virus, il numero complessivo dei ‘contagi’ – che li include – cresce molto, ed è quello che tiene banco.

Il fatto che a parità di “malati” sintomatici vi sia un più alto numero di asintomatici dovrebbe significare che il virus è, se non meno pericoloso, quantomeno meno aggressivo, il che se non è una buona notizia, almeno una notizia è, o no?

Non voler distinguere tra “per” e “con” CORONAVIRUS nella conta dei decessi, come dichiarato dalla protezione civile nella rituale conferenza stampa il 21 marzo 2020 e mai smentito rende ulteriormente difficile una valutazione obiettiva sulla letalità dello stesso.

Se ogni deceduto che sia positivo al sars-cov2 viene conteggiato in questo elenco, indipendentemente dalla causa del decesso, otteniamo al più una ulteriore informazione sulla diffusione del virus ma non sui suoi effetti.
Come vi sono dei positivi asintomatici vi possono infatti essere dei decessi di persone infette che hanno cause del tutto indipendenti dal virus.
Inoltre il numero crudo penetra a fondo ma nasconde l’età, la presenza di patologie pregresse, la collocazione geografica, il contesto in cui queste morti sono avvenute. Deve esserci più vergogna che strategia a confessare che almeno il 50% dei decessi è avvenuto nelle RSA, meglio lasciar perdere.

L’indagine epidemiologica sulla presenza di anticorpi, tardivamente proposta dal commissariato di Arcuri, si è arenata anzitempo per mancanza di candidati. I test sierologici per la misura degli anticorpi sono disponibili dai primi di aprile, un campionamento mirato avrebbe permesso di stimare la reale diffusione sul territorio delle persone che erano entrate in contatto con il virus, avrebbe svelato se la catena di contagi partiva a febbraio come si è sempre sostenuto, o se, come oggi si ipotizza, va fatta risalire almeno al novembre dell’anno precedente. Ci avrebbe permesso, insomma, di fare una stima realistica sul numero di persone che erano entrate in contatto con il virus, indipendentemente dalla presenza o meno di sintomi.
Invece niente, mancavano candidati.

Oggi si parla di una nuova campagna di indagine anticorpale per validare gli effetti del vaccino. Perso di vista il problema ci si concentra sulla sua soluzione. Per questa i candidati si troveranno certamente.

Non parliamo poi delle cure, del trattamento dei malati a casa, indicazioni fondamentali per affrontare una patologia di questo tipo e per cui vengono proposte delle linee guida a metà novembre, dieci mesi dall’inizio della partita. Impossibile a fare diversamente? Più facile parlare di disattenzione. Anche il fatto che la medicina del territorio era stata trascurata negli anni lo si è già detto.

Il gergo bellico utilizzato nella retorica sul COVID19 non è casuale , non è un modo per enfatizzare una situazione grave, qui non siamo posti di fronte ad una malattia, come le altre ma solo più insidiosa e pericolosa. Qui si è di fronte ad un nemico che va sterminato, debellato, eradicato. A qualsiasi costo. La fisiologia è scomparsa.

E mentre milioni di persone sono chiuse in casa dalle 10 di sera alle 5 del mattino ormai da 40 e più giorni, mentre si allungano le code ai punti di distribuzione del Pane Quotidiano, il chiodo è come uscire per il Natale, per acquistare e sostenere i consumi ma non farlo troppo per non rompere l’isolamento, ma farlo un po’ di più per sostenere i consumi ma non farlo troppo … e così via. Di un sistema di produzione e consumo che, lo si sapeva già da prima, era destinato prima o poi a schiantarsi al suolo neanche ora, dopo tutto questo, sembra possibile discutere.

Siamo come in guerra, contro un nemico di cui non ci dicono nulla, e sarà una guerra lunga.
Si parlava di armi batteriologiche, capaci di distruggere dei sistemi sociali senza danneggiare le cose, eccola qua, ma l’arma non è il virus, o non solo, bensì le armate schierate contro di lui.

Non si sa se per caso, per sfortuna o per stupefacente lungimiranza siamo come in guerra, e come in tutte le guerre il principale problema sono gli eserciti, prima ancora del nemico.

14.12.2020 – 0mmot


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