In Italia la giustizia non funziona

“In Italia la giustizia non funziona […]. Non funzione neanche per l’ultimo dei suoi cittadini che quando ha la sfortuna di varcare la soglia del carcere può vedere passare dei mesi prima che qualcuno si accorga di lui e gli indichi qual è la sua posizione e soprattutto qual è il suo percorso (difficile) per uscire da quella realtà.

Se è vero che il ministro Castelli vuole verificare il grado di efficienza di ogni istituto di pena, assegnando loro un voto, quale sarà il verdetto per la Casa Circondariale di Bassone di Como?

Un sito dove il direttore […] non risponde mai alle lettere che i detenuti ingenuamente gli indirizzano, dove gli educatori e gli assistenti sociali incontrano i detenuti dopo un anno da quando gli sventurati hanno varcato le mura del carcere, nonostante ogni individuo abbia diritto a vedersi redatta una relazione che comprenda tutta la sua storia giudiziaria, ma soprattutto una “relazione di sintesi” che gli offra la possibilità di un percorso di reinserimento e di recupero sociale e professionale.

Ebbene a Como tutto ciò non esiste, è lettera morta, è sospeso come se questo carcere fosse avulso dal resto dell’Italia. Un carcere dove i moduli per le cosiddette ‘domandine’, massima espressione dell’alienazione dei carcerati, e pur tuttavia unico mezzo di sopravvivenza quotidiana, non sono mai sufficienti, dove in biblioteca non si può sostare, dove ammalarsi è impossibile perché non si somministrano cure, o meglio solo quando il malato è guarito o morto.

In questo contesto qualcuno decide anche atti estremi, per protesta, o per non accettare condizioni inumane, inutilmente vessatorie, coercitive e cieche: qualcuno dunque si toglie la vita impiccandosi alla finestra della sua cella, faticando anche per arrivare a questo risultato, perché lo spazio è minimo, e tutto va calcolato al millimetro anche nella tragedia.

Giuseppe Romeo, 52 anni, in attesa di giudizio, si è tolto la vita la mattina di lunedì 26 maggio 2003.

Era esausto: le sue domande d’incontro con il direttore, con gli educatori, non venivano mai evase, il vuoto s’era impadronito della sua vita; niente risposte, niente lavoro, il nulla.

La sua cella è stata ovviamente sigillata, il magistrato incaricato dall’inchiesta non è ancpra giunto presso l’istituto di pena, la salma dal povero Romeo si trova ancora da qualche parte nell’infermeria del carcere: ma è normale, siamo al Bassone”.

Questo documento, fatto pervenire alla stampa, naturalmente non è stato pubblicato.

[Annino Mele, MAI, Sensibili alle foglie, 2005]

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Questo breve post, come quelli che lo precedono e quelli che seguiranno, sono un contributo alla campagna per l’eliminazione del regime del 41bis e dell’ergastolo ostativo.

Si tratta per lo più di brani tratti da libri di cui consiglio comunque l’acquisto e la lettura integrale. La mia speranza è che questi piccoli estratti riescano, per quanto possibile, a dare un’idea di quel che si può fare in nome dell’amministrazione della giustizia, in particolare quando si sceglie di intervenire a posteriori ossia mirando l’autore dell’atto indesiderato, senza il minimo interesse alle ragioni, personali o sociali, della genesi di tali atti.

Evidentemente la ricerca delle cause rischierebbe di sollevare delle questioni troppo scomode o complesse per gli equilibri del progresso borghese.

Queste pagine vogliono essere un cotributo di solidarietà allo sciopero della fame di Alfredo Cospito, Anna, Juan e Ivan, contro il 41bis e l’ergastolo ostativo.

Qui una parzialissima rassegna stampa sullo sciopero della fame di Alfredo

dicembre 2022


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