Le carceri vanno chiuse, tutte, al più presto

Le carceri vanno chiuse, tutte, al più presto.

Le persone che vi sono rinchiuse vanno accompagnate a casa, se hanno una casa, oppure ricoverate in un luogo accogliente. Andranno nutrite e gli dovrà essere garantito ciò che necessitano per mangiare, vestirsi, curarsi e volersi bene per il tempo che potrà essere necessario.

È inconcepibile che una collettività costringa degli esseri viventi in delle condizioni a cui si può preferire la morte. È inconcepibile e basta.

In nome di una deformata interpretazione del “patto sociale” si stanno sottoponendo più di 50mila persone ad un trauma quotidiano, chi da uno, chi da dieci, chi da trent’anni o più.

Vi sono delle responsabilità enormi in tutto questo che vanno assunte collettivamente, e non sono certo dei reclusi.

Il cittadino coscenzioso dirà: “ma la lotta al crimine così dove va a finire”?

Domanda ben posta, ma la risposta è facile, andrà a finire esattamente dove va ora, nel nulla.

I crimini, o meglio quella serie di atti “non desiderati” che si è scelto di etichettare in questo modo, non sono che l’esito della dinamica di un incontro, che diventa uno scontro.

È l’azione su questa dinamica, sulle relazioni in trasformazione e movimento che la determinano, a offrire l’unica via di salvezza all’omicidio, perché un suicidio in carcere è un omicidio.

Riconoscere questa dinamica è difficile?

Sì, richiede costanza, pazienza, una buona capacità di mettersi in discussione e ancora pazienza.

Il riconoscimento di questa dinamica è pericoloso?

Sì, lo è. Potrebbe capitare, ed in generale succede, che si scopra che la relazione che porta al crimine è corrotta da quegli stessi principî, da quegli stessi valori che sono il fondamento dello stato di cose presenti. Che poi sono i principî che determinano un certo benessere per chi li studia, certezze che costituiscono una zona di conforto.

Chi imbocca questa strada deve essere consapevole che le zone di conforto non sono un fatto acquisito ma, quando va bene, un temporaneo punto di equilibrio.

Si deve essere preparati, e preparati non si nasce. Molto si impara per via. Un altro mezzo non c’è, la strada è lunga e piena di rischi. Non mancheranno certo incidenti.

Ma non sarà costruendo muri, difendendo i mari, allestendo reticolati, fortificando mura di cinta, donando intelligenza ai droni, che si potrà fermare il meccanismo che genera “l’atto indesiderato”, perché quest’ultimo esiste: è, indipendentemente quale che sia il desiderio comune. Non a caso si dice “indesiderato”.

Solo attraversando il conflitto lo si potrà rendere meno lesivo. Del tutto pacificato questo non sarà mai, la perfezione è sempre un’utopia.

Ommot, agosto 2023

Mappatura detenuti in sciopero della fame


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