primo riepilogo – la soggettività

proviamo un primo riepilogo

* gli strumenti di cui disponiamo e che utilizziamo per farci capire spesso lasciano scoperte molte zone grigie, si offrono a delle interpretazioni ambigue. Questo ha degli evidenti svantaggi ma offre anche degli inaspettati vantaggi poiché talvolta ciò che si capisce di quello che stiamo dicendo è più efficace di quello che intendevamo dire.

* il nostro ruolo nella comunicazione è un elemento di perturbazione, c’è qualcosa che ci spinge a comunicare che spesso non ha nulla a che fare con ciò che stiamo comunicando. C’e’ chi parla perché non sopporta il silenzio, c’è a chi piace ascoltarsi, ché chi si libera di un peso raccontandolo ad altri, c’è chi cerca compagnia. Tutto degno della maggior attenzione, nessuna obiezione è possibile. Le ragioni della comunicazione sono sempre misteriose ma importanti, almeno tanto quanto la comunicazione stessa. Questo deve sempre essere tenuto in considerazione.

* dovendo scegliere dei sistemi di riferimento, dovendo appoggiare il nostro ragionamento da qualche parte, optiamo talvolta inevitabilmente per delle verità stampelle, dei pre-giudizi aprioristici che ci servono per passare il guado del ragionamento. Talvolta questi apriori si impongono sulla comunicazione (ossia non ne sono più strumento ma arrivano a dirigerla) ed in questo caso subentra quello che si può chiamare divinità. Un valore giudicante superiore, non passibile esso stesso di giudizio, che influenza il senso della nostra comunicazione conformandolo a sè.

Fino a qui sembrerebbe tutto uno sfracello. Un mondo di soggetti inabili a dirsi alcunché dotati di strumenti spuntati.

In realtà, però, la stessa esistenza di una storia dell’umanità dimostra che il grado di tolleranza del sistema della comunicazione è molto elevato. E che il tempo aiuta.

L’essere umano ha avuto bisogno di tempi enormi per affrancarsi da pregiudizi animistici; credenze e superstizioni non sono scomparse ma si sono affinate. L’evoluzione della rappresentazione di sé procede lentamente, e probabilmente necessita dello sviluppo delle risorse materiali e delle organizzazioni sociali.

Scriveva Ludwig Wittgenstein:

Si sente sempre ripetere l’osservazione che la filosofia non farebbe mai un vero progresso, che ancora ci occupiamo degli stessi problemi filosofici di cui già si occupavano i greci. Chi dice questo però non capisce la ragione per cui cosi’ deve essere. La ragione è dunque che il nostro linguaggio è rimasto lo stesso e ci seduce sempre di nuovo verso gli stessi interrogativi. Finché vi sara’ un verbo “essere” che sembra funzionare come “mangiare” e “bere”, finché vi saranno aggettivi come “identico”, “vero”, “falso”, “possibile”, finché si continuerà a parlare di uno scorrere del tempo e di un estendersi dello spazio, ecc. ecc., sino allora gli uomini si arresteranno sempre di nuovo di fronte alle stesse enigmatiche difficoltà e continueranno a guardare fisso qualcosa che nessuna spiegazione sembra poter eliminare.
E questo soddisfa del resto una sentita aspirazione al trascendente, perché, credendo di vedere i “limiti dell’intelletto umano”, essi credono naturalmente di poter vedere al di la di esso.

(L. Wittgenstein 1931, da Pensieri diversi, Adelphi 1977)
e ancora:
La filosofia non ha fatto alcun progresso? – Se uno si gratta dove gli prude andrà visto in ciò un progresso? Altrimenti non sarebbe un prurito vero o una vera grattata? E questa reazione all’irritazione non può forse protrarsi a lungo, prima che si trovi un rimedio contro il prurito?

(L. Wittgenstein 1950, da Pensieri diversi, Adelphi 1977)

Quindi dobbiamo fare molta attenzione ad applicare le nostre frettolose considerazioni sull’oggi ad un domani incerto e soprattutto è importante seguire il ritmo lento degli eventi.

In questa stazione, pero’, va dato un primo enunciato, imprescindibile e su cui si vuole basare tutto il ragionamento, se piace piace se no bisogna cambiare strada.

Si dà per postulato che ‘le cose, messe nelle opportune condizioni, tendono naturalmente a migliorare‘ o , per riprendere Wittgenstein, prima o poi, da solo o per merito nostro, il prurito passa.

Ossia si ipotizza che l’essere umano non sottoposto a delle catastrofi per lui incontrollabili sia in grado di elaborare gli strumenti utili a garantirsi una vita sociale via via migliore, affinando strumenti, intelligenza, e capacità di relazione.

Questo postulato, che è riconosciuto valido più per i bambini nei programmi pedagogici che per gli adulti che quei programmi dovrebbero scrivere, ha degli impliciti che è meglio enunciare da subito:

l’essere umano non è diverso (in potenza) dagli altri esseri viventi, ossia non c’è nessuna ragione che ci porti a pensare che sia favorito per ragioni altre che la sua stessa evoluzione

la storia è fatta di mutamenti e in questi mutano i contesti, gli strumenti, e le modalità di comunicazione.

nulla è dato a priori ma le cose avvengono secondo delle leggi a noi misteriose che dipendono dai loro rapporti.

Questo sarebbe quello che in filosofia si chiama materialismo se non ci fosse la parola “misteriose”, ma i tempi del materialismo erano i tempi delle certezze, oggi siamo su un po’ più zoppicanti.

Quindi ci aspettiamo che un progresso ci sia, naturale e indipendente dalla nostra volontà (e non ostante i nostri ed altrui errori). Ci aspettiamo anche che a questo progresso tutti siano chiamati a  partecipare, secondo le loro possibilità, con la bandiera delle proprie ragioni.

 

 

tommaso, 26 aprile 2010


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