dovrei imparare a distinguere

Dovrei imparare a distinguere tra ciò che mi appartiene e ciò che mi è estraneo.

Dovrei imparare a riconoscere le cose dietro la nebbia fitta o a trovare quelle nascoste sotto la sabbia.

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… mi hanno detto di non preoccuparmi, che la mia situazione è transitoria, che appena possibile mi metteranno in regola con un bel posto fisso. Mi hanno dato delle precise garanzie, non delle date naturalmente, “nessuno ha la sfera di cristallo”… ed è vero.

Si sono succeduti i governi come le stagioni e con loro i consigli di amministrazione, scorpori e fusioni; ogni volta per colpa di un piccolo imprevisto si è dovuto ricominciare da capo … manca poco, però, gli ultimi metri sono sempre i più faticosi … la saggezza è saper aspettare, saper ricominciare ad aspettare …

Poi è arrivata la crisi, maledetta crisi! “… ti rendi conto … ora è impossibile, ma dalle crisi si esce sempre, come dalle glaciazioni, basta saper aspettare … “ fa lui

“comunque i migliori saranno i primi quindi mi conviene darmi da fare…” rispondo io

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Precario fa rima con efficienza, si sposa con ottimizzazione, è sinonimo di risparmio (e chi di noi non pensa al risparmio?)

Precario è il produttore di valore a cui non viene concesso nemmeno il diritto di dover essere consumatore: se non riesce a fare il suo mestiere (o se non piace come lo fa) lo si cambia, per il resto “che consumi o che resti digiuno a noi non importa”.

Nel 1997 una relazione della Camera di Commercio di Milano riportava una intervista ad un piccolo imprenditore che diceva:

… poi c’è questa grossa flessibilità. In Oriente, cioè in Cina, lei ha bisogno di 2.000 persone, trova 2.000 persone che per 20 giorni lavorano per lei, e poi se ne vanno a casa. Lei quando ha 2000 persone qua in Italia deve lavorare tutta la vita perché non se le leva più di dosso.

chiaro no? Come ad un auto noleggio o in una pizzeria, se consumo pago, se no no. Il piccolo imprenditore aveva l’occhio lungo e – forse – le mani in pasta.

So di centinaia di migliaia di precari del privato e so anche di decine di migliaia di educatrici, maestre, insegnanti licenziati a luglio e riassunti a settembre affinché non gli sia pagato il mese di agosto. Il loro datore di lavoro è lo Stato, ossia – ci hanno detto – la collettività…

pazzesco no?

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Il precario è merce preziosa non a caso vi sono tanti diversi tipi di rapporti di lavoro non continuativi.

Il precario è merce preziosa: i suoi desideri sono stati sostituiti con dei bisogni; al posto della curiosità in lui agisce il timore se non addirittura la paura: il precario odia chi ha un posto fisso perché ha ciò che a lui manca, il lavoratore stabile odia il precario perché per lui è una minaccia, i precari sono liberi di odiarsi tra loro perché “… i migliori saranno i primi … “ e quindi …

Il precario è una merce tendenzialmente solitaria, cosa che fa sempre comodo.

Del precario NON importa né che sia d’accordo né che ami il suo lavoro. Basta solo che non disturbi.

Il precario, quando è Italiano, gli manca solo di diventare ‘straniero’ per essere perfetto.

Il precario è ricattabile e ricattato
è minacciabile e minacciato
è costretto ai lavori più umili per guadagnarsi un umile lavoro

Il precario è la sconfitta della civiltà borghese illuminata della fine del 20° secolo che ambiva (a parole) a offrire a tutti garanzie e tutela universali.

Il precario ben rappresenta questo mondo di oggi che va scordando che esistono delle persone che convivono preferendo pensare che sia giusto che ci siano vincitori e vinti, fortunati e sfortunati, e che sopra tutto ci siano certezze, fama e denaro. Il mondo in cui la giustezza lascia il posto alla lotteria.

Poco importa che la fabbrica del denaro sia retta da lavoratori non lavoratori, il che, col senno dell’oggi, è come dire persone non persone, anzi sarà questo un motivo di vanto: sono il simbolo dell’ottimizzazione del processo

(c’è stato un tempo in cui mi chiedevo perché le azioni delle società aumentavano di valore quando venivano licenziati grandi quantità di lavoratori … poi ho smesso di farlo).

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Dovrò imparare a distinguere tra ciò che mi appartiene e ciò che mi risulta estraneo.

Non sarà facile.

Ma credo che questa precarietà non mi appartenga più, e con essa le sue ragioni, mentre forti mi appartengono i dubbi e i desideri che intravedo dietro la nebbia e che mi pare di sentire sotto la sabbia.

tommaso, luglio 2009


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