Oltre lo specchio

OLTRE LO SPECCHIO

Facciamo un’ipotesi

Eccoci qua, di nuovo, a parlare di scuola. A confrontarci con regole e discipline modificate ma sempre uguali, a misurare l’entità dell’annuale saccheggio, materiale ed umano, fatto ai danni di insegnanti e ragazzi.

Questa volta, però, decidiamo di non contare le ferite; non ci appelleremo a chi, per distrazione o colpa, ha omesso di garantire i mezzi necessarî affinché la trasmissione del sapere potesse avvenire nel migliore dei modi.

Non invocheremo la malasorte, la sfiga nostra o l’inadempienza altrui. No, questa volta faremo un’ipotesi diversa.

Vogliamo pensare che nella scuola tutto vada come deve andare. Che quel che appare “disfunzionale” abbia in realtà un preciso scopo.

Vogliamo pensare che, per una diabolica manovra o per l’effetto di una congerie di forze indipendenti, la Scuola assolva a una funzione precisa, e lo faccia anche con una certa efficienza.

Attraversiamo così lo specchio che ci mostra il mondo come l’avremmo immaginato e cerchiamo di svelare un facile segreto.

Abbiamo scelto di concentrarci su quattro punti, avrebbero potuto essere di più.

La valutazione
Re-introdotta nel 2008 per i bambini delle elementari (il voto numerico) ci sembrava facile allora dire “non bisogna valutare ma imparare a crescere insieme”.

Avremmo dovuto dare più peso a chi, educatore o genitore, chiedeva di applicare la scienza della misura al sapere. I sostenitori del voto non erano solo i ciechi burocrati alle nostre spalle ma anche chi, al nostro fianco, già conosceva l’importanza di essere abituati sin da piccoli a trovarsi un buon posto nella griglia di partenza, motore acceso e piede pronto a scattare, prima che il semaforo diventi verde.

Una scuola che rifiuti una valutazione meritocratica dei suoi alunni negherebbe agli stessi la pratica su quell’esperienza già violentemente subita dal “mondo adulto”. Sarebbe stata come minimo inadeguata, se non addirittura eversiva.

Così passò. Fu tra rumorose proteste ma il provvedimento passò.
C’è voluto poco per salire di un gradino e arrivare alla misurazione degli insegnanti applicando anche a loro la “valutazione”, con effetto punitivo e premiale. È più difficile ora dire “non vogliamo essere valutati ma imparare a crescere insieme”, non perché non sia questo il nostro sentimento ma perché questo oggi è un pensiero eversivo.

La valutazione serve materialmente a qualcosa? Probabilmente no, le risorse sono esigue e i premi irrisori. Ma impareremo, nel frattempo, ad adeguarci o a scannarci per conquistare la prima posizione. Dimenticheremo il mondo da cui veniamo e diventeremo ottimi predicatori della gerarchia sociale.

Marketing a scuola
Ne abbiamo parlato già. Non si sa mai come uscirne. Le risorse materiali sono a tal punto ridotte al lumicino che ogni aiuto è buono. Quindi le famiglie pagano e contribuiscono, con le loro donazioni “volontarie”, all’attività didattica come alle spese di segreteria. Poi ci sono le gite, la tanto citata carta igienica, il sapone, e via con le feste “birra e salamella” per riattrezzare il laboratorio di scienze e i fine settimana a dare una imbiancata al refettorio.

Poi, inevitabilmente, arriva il Marketing, quello con la M maiuscola, che trasforma la Scuola in una sorta di televendita. È facile. Le catene della grande distribuzione invitano DIRETTAMENTE i dirigenti scolastici ad aderire a delle campagne promozionali. Con la copertura, quando non l’incoraggiamento, della Direzione, gli insegnanti fan propria questa missione invitando gli studenti (prima elementari e medie, ora anche superiori) a fare manbassa di “buoni”, “tanto la spesa la si deve fare comunque”.

Poco importa che, in relazione alla spesa, il premio sia esiguo, o che i prodotti in palio siano scadenti. L’operazione rafforza la fidelizzazione dell’utenza alle logiche del mercato i cui lo stato- sociale viene assorbito dal Grande Magazzino.
Chi già lo sapeva non tollera che ora vi siano critiche, chi non lo sapeva impara.

Serve materialmente a qualcosa? Alla scuola poco o nulla. Altri sono i reali bisogni, i muri cadenti, i salari bassi, l’esiguità del personale. Il problema delle risorse della Scuola non sta certo in qualche PC o in una LIM in più o in meno. Se ciascuno degli aderenti a questa campagna versasse 1 euro ogni 30 di spesa i benefici sarebbero almeno triplicati; se si attivassero delle relazioni solidali con i commercianti della zona l’aspetto formativo sarebbe enormemente valorizzato e probabilmente il bottino più ricco.

Alle grandi catene di distribuzione servirà forse di più, ma non crediamo poi troppo. Nella spietata concorrenza, il tempo di chi arriva prima dura il battito d’ali di una farfalla, tra poco saranno tutte alla pari, ciascuna con il suo concorso, ciascuna con il piedino teso alla griglia di partenza e l’utile della spesa verrà nuovamente ridistribuito tra tutte, come prima.

Ciò che è passato, però, è il principio secondo cui è il mercato a pagare i servizi mentre all’”utenza” non resta che mettersi disciplinatamente in coda alla cassa.

Il registro elettronico
Il Panopticon di Bentham sembra trovar casa nel mondo digitale. Un piccolo esempio (ci limitiamo a questo rimandando l’argomento e le sue insidiose articolazioni ad altre occasioni) è costituito dal Registro Elettronico. Facile da usare, pratico, si installa persino su un telefono. Permette il controllo in tempo reale delle azioni del personale docente, delle ragazze e dei ragazzi. Una specie di guscio di madreperla in cui ci si riflette a vicenda. Una versione leggera del Grande Fratello.

Serve a qualcosa? Di primo acchito si direbbe di no. Fa risparmiare carta e penna al costo (almeno iniziale) di sostanziosi investimenti nell’infrastruttura e la dotazione informatica della scuola e di chi la vive.
Però serve moltissimo ad abituarci ad essere osservati e a pensare che tutto ciò sia normale. All’inaugurazione dell’anno scolastico 2015/2016 in un Istituto Tecnico di Milano una insegnante ha detto “se avessero messo il registro elettronico ai miei tempi nel giro di due giorni sarebbero state occupate tutte le scuole d’Italia”. Aveva ragione.

Alternanza Scuola Lavoro
La legge 107 della buona scuola, al comma 33 recita:

Al fine di incrementare le opportunità di lavoro e le capacità di orientamento degli studenti, i percorsi di alternanza scuola-lavoro di cui al decreto legislativo 15 aprile 2005, n. 77, sono attuati, negli istituti tecnici e professionali, per una durata complessiva, nel secondo biennio e nell’ultimo anno del percorso di studi, di almeno 400 ore e, nei licei, per una durata complessiva di almeno 200 ore nel triennio.

Ossia ragazze e ragazzi saranno mandati a fare dei lavoretti confacenti, si presume, con la tipologia del corso di studi. Ci aspettiamo che qualcuno impari qualcosa? No. Ci aspettiamo che si verifichino episodi di nascosto sfruttamento del lavoro minorile? Puo’ darsi, ma forse anche no. Lo sfruttamento del lavoro richiede pianificazione, organizzazione, struttura, come avviene, per esempio, nelle coltivazioni di pomodoro a Rosarno, nelle acciaierie Tarantine o nei grandi gruppi editoriali.

Serve a qualcosa, quindi, tutto questo? Direttamente forse no, ma, proprio grazie alla sua paradossale ed inevitabile disorganizzazione, contribuisce senz’altro a rafforzare l’attitudine al lavoro comandato, all’obbedienza e al rispetto della gerarchia. Non produrrà né conoscenza né ricchezza ma rafforzerà la propensione alla servitù volontaria.

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Che ce ne facciamo di tutto questo?
Se questa gita oltre lo specchio ci dice qualcosa, possiamo capire che la sfida è più alta, la battaglia più complessa ma anche la meta più preziosa.
È in gioco un modello di vita, risa, sudore e lacrime delle generazioni a venire.

Non tralasceremo mai l’attenzione e la gratitudine per chi ci prova e tenacemente difende il difficile confine di un modello educativo di valore, che è immagine di un mondo migliore, ma nel contempo capiamo che è solo con la consapevolezza che ciò che vogliamo è un mondo diverso che potremo andare da qualche parte.

Per il Partito del Lento Movimento (PLM), tommaso ottobre 2015

p.s.
Potevamo parlare anche d’altro?
Si, per esempio degli aumenti delle certificazioni e delle cause ed effetti della medicalizzazione del disagio; del valore disciplinante delle classi soprannumerarie di studenti e sguarnite di insegnanti; della funzione classista della selezione; e via discorrendo…


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