non solo formiche

Il signore delle formiche

di Gianni Amelio (2022)

Non stiamo qui a fare tutta la storia, che sarebbe lunga, del processo per plagio ai danni di Aldo Braibanti, intellettuale comunista, omosessuale che fece un po’ sapere di sé ai tempi – nella seconda metà degli anni sessanta – e per poi scomparire dalla memoria collettiva fino a che prima Carmen Giardina e Massimiliano Palmese con il film/documentario “Il caso Braibanti” (2020) ed ora Gianni Amelio con “Il signore delle formiche” ce lo riportano alla memoria.

Chi può veda il film, e chi è molto curioso legga anche il saggio di Eco “Sotto il nume di plagio” in Il costume di casa, evidenze e misteri dell’ideologia italiana negli anni sessanta, edito da Bompiani nel 1973.

Amelio ci racconta due storie (più una) e mezzo, e giustamente abbisogna di tempo, il film dura 130 minuti e ci stanno tutti. La prima storia è quella appunto del processo Braibanti: interrogatori, udienze, arringhe. La seconda è quella di Ettore/Giovanni (il plagiato) che venne letteralmente sequestrato dalla famiglia e messo in manicomio per essere curato da ‘quella malattia’.

La mezza storia è quella, solo accennata, di Ennio Scribani, che, al momento, solo sua cugina e Gianni Amelio conoscono: Graziella ad un certo punto dice ‘io so tutto’, e noi ci chiediamo ‘ma che sa’?

La terza è quella dello stesso regista, omosessuale anche lui, che certe ruvidità senz’altro le conosce.

Con tanti ingredienti potrebbe essere difficile orientarsi e forse, in effetti, ogni tanto ci si confonde un po’ ma nella sostanza la trama è chiara: la vicenda processuale vien fuori tutta con i suoi peggiori connotati, quella umana, per quanto possibile pure – si tratta qui di una ricostruzione puremente immaginifica -.

Gli attori: Leonardo Maltese (Ettore/Giovanni) è bravissimissimo nell’interpretare il duplice personaggio del prima e del dopo. Luigi Lo Cascio (Aldo) sa essere antipatico quanto basta per non risultare simpatico (e ci sta), Elio Germano (Ennio) è fin troppo a suo agio, così le figure femminili Anna Caterina Antonacci (mamma di Ettore/Giovanni), Sara Serraiocco (Graziella) e Rita Bosello (Susanna) sono perfette.

Qualche appunto, però, si può fare. Per primo Giovanni Sanfratello, che mai si è chiamato Ettore, e mai lo sarebbe stato. Perché se Aldo è Aldo, Giovanni non è Giovanni? Poco importa direte, appunto per questo pare strano.

Quindi il decoro, la dilagante mania del decoro. Nel film, che pure tratta una vicenda ‘sporca’, tutto è pulito, troppo. Le camicie pulite, le facce pulite, i muri puliti. Financo le sedie, quattro sedie, nella camera ardente di Susanna, sono sì di legno e vimini ma nuove di pacca e quando piove neanche ci si bagna. E’ una brutta deriva del cinema di oggi di volerci togliere lo sporco della vita reale, non ne facciamo colpa ad Amelio, fan quasi tutti così. Certo Lo Cascio ha (quasi) sempre la barba dei due giorni, Giovanni/Ettore, nella sua vita ‘dopo’, ha i denti gialli. Ma lo sfondo, il film in cui loro si muovono, è lindo, troppo.

Così è, per finire, con la stanza dell’alloggio di Roma. Una squallida e mal arredata pensione medio borghese con perfino la pensionaria che scherza se i due (‘zio e nipote’) volessero usare un letto matrimoniale o due letti singoli.

Il testo di Eco, che senza-alcun-dubbio Amelio ha letto, riporta la minuziosa descrizione che gli agenti della P.S. fanno quando compirono la perquisizione nella casa dei due: un appartamento che “misura metri 6 per 3,50 circa. Sulla parete laterale destra rispetto a chi entra si notano appesi 29 quadri, noti col nome di ‘Colleges’ (montaggi e costruzioni con gli oggetti più strani come pezzi di vetro, molle per poltrone, pezzi di pietra, viti, bulloni, ecc.), appartenenti al Braibanti. Una mensoletta con 6 pennelli, un bicchiere e 13 pennelli, colori acquarello, stampo traccia linee, squadra, boccetta fissativo per pastelli, scatola colori acquarello, china per disegno, vaschetta porta tinta colori a tempera.” (e via discorrendo). Cioè persino gli agenti di P.S. si erano accorti che in quella stanza c’era qualcosa di più di due omosessuali con una marcata differenza d’ètà. I letti, poi, dicono gli agenti, erano due, poco importa, che come scrive l’appuntato Santavenere Guido, “Si precisa che i due lettini sono l’un l’altro prospicienti”. Perché omettere tutto questo?

Tornerei quindi a Eco e al fatto che la questione non è solo quella lì, che c’è un non detto nello strumentario comunicativo che usiamo che va sempre tenuto a bada, e che non basta, per questo, mettere Emma Bonino come testimonial.

Però il film va visto e la vicenda conosciuta, è il nostro passato ma anche il nostro presente.

Umberto Eco nel suo saggio vuole spiegare come dietro la scelta delle parole possa nascondere un giudizio o un’intenzione e come questo sia successo nel caso dell’iter processuale contro Aldo Braibanti, a suo discapito. Un utilissimo armamentario per difendersi dall’”ideologico quotidiano” è fornito dalla più che ventennale trasmissione radiofonica di Felice Accame e Carlo Oliva ‘La Caccia’ ospitata da Radio Popolare negli anni 1986/2012. (https://archive.org/details/@officina_carlo_oliva)

Qui, più modestamente, per evidenziare come la questione del pre-giudizio, insita nel corpo terminologico della procedura, sia ancora aperta, vogliamo riportare un passo dall’ordinanza cautelare nei confronti di un minore straniero incensurato, senza pendenze di alcun tipo, accusato (e ammittente) del furto di una collanina:

Le modalità esecutive della condotta predatoria, unitamente alle circostanze temporali e spaziali esistenti al momento del fatto, evidenziano una particolare dimestichezza ed abitualità nella commissione dei reati della stessa specie di quello per cui si procede.

L’indagato è un soggetto privo di riferimenti sul T.N. inserito in una struttura comunitaria nella prospettiva di una positiva integrazione nel tessuto sociale, obiettivo che, considerata la condotta di cui il giovane si è reso autore, appare difficilmente raggiungibile.

La personalità del minore e la tipologia di reato commesso, per propria natura destinato a suscitare particolare allarme sociale, appaiono sintomatici di una marcata inclinazione alla trasgressione della legalità e rendono fondato un alto rischio di reiterazione criminosa.

Il sottolineato è nostro. Il giudice in questione, quando scriveva queste considerazioni non aveva ancora mai incontrato il ragazzo.

Ommot 25.09.2022


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