no, Robert non fa l’elettricista

(ATTENZIONE: questo è un commento al film Oppenheimer di Christopher Nolan, ed è tutto un unico spoiler. Chi non ha visto il film, non conosce la storia, ama le sorprese fa meglio a non proseguire, e se vi invitano ad andarlo a vedere fatelo).

Quando nel 1984 uscì Amadeus di Miloš Forman a qualcuno scappò detto, “bellissimo, ma con un personaggio e della musica così è difficile sbagliare”. Certo si trattava di una battuta ma un filo di verità forse c’era. La figura di Mozart ben si presta ad una narrazione spettacolare. La sua precocità, la sregolatezza unita alla genialità, la qualità della sua produzione musicale. Non a caso la scena più efficace del film è quando dal letto di morte Mozart detta al cattivo Salieri, che poi così cattivo nella reltà non era, la partitura del Requiem e noi sentiamo, come lui certamente sentiva dentro di sé, uno strumento dopo l’altro andare a comporre la Messa forse più riuscita del panorama musicale di sempre. La musica degli dei. Se Wolfgang Amadeus avesse composto canzoni da osteria l’effetto non sarebbe stato probabilmente lo stesso.

La medesima osservazione viene guardando il film Oppenheimer [Christopher Nolan, 2023], che racconta la storia di Robert Oppenheimer [Cillian Murphy], fisico a capo del progetto Manhattan, che diede agli Stati Uniti la prima bomba atomica, fatta esplodere, a guerra praticamente finita, su due città del Giappone: Hiroshima il 6 agosto 1945 uccidendo sul colpo più di 70.000 persone e, tre giorni dopo, Nagasaky , più di 40.000, per non parlare degli effetti a lungo termine dovuti alla contaminazione radioattiva.


Se il buon Robert anziché il fisico avesse fatto l’elettricista, il racconto della storia della “bomba”, la più famosa “bomba” di sempre, sarebbe risultato diverso. Certo, direte voi, che ci fa un elettricista nella storia della “bomba”? Ci fa, ci fa, le vicende della vita sono piene di dettagli interessanti anche se meno fotogenici. Per esempio Alias, inserto settimanale del quotidiano il Manifesto, ha pubblicato il 16 settembre di quest’anno un bellissimo articolo su un aspetto che è marginale nella vicenda raccontata dal film ma non nella reale storia della bomba (e forse di Oppenheimer, chissà). Da dove veniva infatti l’uranio che, mano a mano, andava a costituire la massa critica necessaria ad innescare la reazione a catena? Questione molto interessante e attuale, ma la risposta ci porterebbe fuori strada. Così la vita dei tecnici, falegnami, elettricisti, carpentieri, che parteciparono al progetto.

Va beh, direte voi, comunque Amadeus si chiama così perché racconta la storia di Mozart mentre Oppenheimer racconta la vicenda del fisico statunitense in relazione alla “bomba”, non è, e non vuole essere, né la storia “della Bomba” né dell’”elettricista che pose fine alla guerra”. (a quella guerra). È la storia del capo.

Però, a guardar bene, come per la pellicola di Forman, anche qui il piatto è ghiotto e il personaggio si presta ad un facile show di successo.


Robert, infatti, è psichicamente turbato, e già ci siamo, lo scienziato pazzo è sempre più interessante che un pazzo qualunque. E come infesta i suoi sonni malati uno scienziato un poco sofferente? Oppenheimer sogna neutrini che attraversano una camera a bolle, luci che attraversano lo spazio, il vuoto del nulla. È chiaro, si tratta di un fisico, quello che farà la bomba. Non è che si limita a sognare il buio della notte, delle donne dal seno prorompente, dei nani che gli mordono i piedi, dei numeri, dei solidi che non riescono ad incastrarsi tra loro. No il fisico geniale nella sua follia e nei suoi incubi sogna la luce, le particelle, i cieli. È dominato dalla sua scienza, non a caso considerata tra le più dure. E poi ci sono i foglietti, quei foglietti spiegazzati che una volta aperti destano lo stupore di tutti i colleghi “ah, la crescita esponenziale …”, riuscendo a lasciare di stucco anche più grande dei grandi, Albert Einstein, che di fronte a quel misero pezzo di carta scribacchiato con pochi segni a penna rimane sconcertato e quando Robert gli chiede “rifai tu i conti” si rifiuta come se dentro di sé li avesse appena rifatti, il batter d’occhio del genio. Il povero Einstein, oltre che calcolare ad occhio la crescita esponenziale di una reazione nucleare appuntata su un pizzino, non fa altro che stare lì, davanti al laghetto dell’Università di Princeton, a tirare i sassi nell’acqua con il suo buffo cappelluccio. Lui sì che la sapeva lunga. Chissà cosa sognava.

Per continuare con la pretesa secondo cui Robert Oppenheimer, un adulto, laureato, magari non un genio ma magari invece sì, che vive a stretto contatto con un sacco di colleghi scienziati, con i militari, nel pieno di una guerra mondiale, un uomo che aveva anche avuto modo di cimentarsi con le guerre di liberazione e che era stato molto vicino al partito comunista statunitense, potesse pensare anche solo per un secondo che costruire la più potente arma di distruzione di massa avrebbe posto fine alla corsa agli armamenti.

Insomma un discreto sfottò della categoria dei fisici, come fu quella dei musicisti ad opera da Miloš Forman.

Nolan però è un furbacchione, o forse lo sono Kai Bird e Martin J. Sherwin, autori della corposissima biografia di Oppenheimer da cui il film è tratto, e non si ferma qui. Ci costruisce sopra una sorta di thriller, la lotta tra l’ambizioso Mr. Nessuno – Lewis Strauss, “non mi sono laureato, mi sono messo a vendere scarpe”, [Robert Downey Jr.] e l’ingenuo scienziato. Il cattivo e il buono, con conseguente processo fatto dai cattivi nell’oscurità del segreto e l’udienza pubblica (l’agorà della democrazia) in cui sorprendentemente, e per il rotto della cuffia, il bene trionfa sul male. Sullo sfondo c’è persino un giovanissimo Kennedy che fa ciao ciao con la manina, perché le persone per bene, si sa, stanno sempre insieme.

Donne zero, il film non passerebbe il test di Bechdel e non c’è altro da dire, certo non è un film femminista.

Attori ed attrici [Jean Tatlock – Florence Pugh, Katherine “Kitty” Oppenheimer – Emily Blunt] senz’altro bravi ed azzeccati, va detto, come vanno apprezzati gli accenni sulla necessità di sottoporre costantemente la teoria a delle verifiche sperimentali.

Ultima nota di stile su cui non smetterò mai di insistere. Come oramai usa da molto, troppo tempo, anche in questo film è tutto eccessivamente pulito. Mentre sporche trame complottano ai danni di Robert, mentre decine di giovani scienziati ed elettricisti in uno sperduto altopiano del Nuovo Messico cercano di arrivare ad un risultato utile in questa lotta contro il tempo, mentre la guerra strazia milioni di persone, non una goccia d’olio macchia le loro camicie, non una scarpa si slaccia quando non deve, non un gradino li fa inciampare, non un granello di polvere del deserto si appoggia sui loro visi, non una incertezza li fa balbettare. Nel film c’è addirittura il test di esplosione della bomba (perché non si è mai sicuri finché non si prova). Questo costringe tutto l’equipaggio, per proteggersi, a stare sdraiato sulla terra battuta dell’altopiano, la bomba scoppia fa un enorme sconquasso, alza minacciose colonne di fumo, vento polveroso, forte e caldo ma, passato quel pugno di secondi, li ritroviamo tutti in piedi, felici, immacolati e sorridenti a battere le mani per festeggiare la vittoria. Da non credere.

Si tratta di un vero kolossal fiction, tre ore che passano in fretta e si fanno godere. Se vi invitano ad andare a vederlo fatelo.
Poi pensateci sopra.

Ommot 30 sett 2023


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