di sconfitta in sconfitta

Di sconfitta in sconfitta - copertinaEsce, per la seconda volta, “Di sconfitta in sconfitta. Considerazioni sull’esperienza brigatista alla luce di una critica del rito del capro espiatorio” di Vincenzo Guagliardo,

qui il preambolo:

PREAMBOLO

Mi si dice che da anni, nel mondo dei liberi, i pentiti di vario tipo della lotta armata premiati dallo Stato (dai delatori ai semplici abiuranti) amano ripetere a tutti: «Meno male che abbiamo perso», fino al punto di risultare noiosetti. Ebbene, anch’io dalla mia cella faccio mia questa frase, anche se con uno spirito diverso dal loro, ovviamente. Questa frase, infatti, può solo irritare chi incensa se stesso e crea monumenti sul proprio passato (in questo caso, sulla lotta armata). Tuttavia, la sua irritazione sarà frutto di un equivoco. È solo da un punto di vista molto idealistico e in fin dei conti reazionario che si può ritenere di raggiungere la perfezione; chi è per il cambiamento, ovvero si ritiene «rivoluzionario», dovrà sempre riconoscere di non aver mai raggiunto la perfezione, e perciò dovrà accettare la verità che si vada sempre avanti da un errore all’altro. Se perciò inizio con questa frase la mia riflessione, non è sotto il segno del pentimento ma sotto quello dei rimpianti necessari per continuare a voler cambiare se stessi perché cambi il mondo. In questo senso è proprio la riflessione sulle sconfitte quella più utile, almeno finora, in questo mondo.

La prima cosa che dovremmo tutti imparare è allora che l’errore e la sconfitta non sono da vivere come una tragedia, ma come una caratteristica necessaria del mutamento reale per chi non sia soddisfatto dell’esistente. Chi non sa cambiare idea finisce involontariamente per essere complice di chi ha interesse a mantenere il dramma in cui viviamo tutti. Il riconoscimento della sconfitta è la base necessaria del mutamento: non riconoscerla con la propria coscienza è la fonte della tragedia perché allora ciò che è stato sancito dai fatti ci verrà imposto in modo catastrofico, senza esser foriero di nuova consapevolezza e minor dolore, lasciandoci solo la possibilità della patetica nostalgia o dell’indecoroso ritorno all’ovile.

V.G.

[Di sconfitta in sconfitta]


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